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Vincenzo Mazzacane

 

I LUCRI DI SOPRAVVIVENZA NELLE CONSUETUDINI DI TEANO

(in Archivio Storico del Sannio Alifano..., Anno II, n. 4, 1917, pp. 16-21)

 

 

 

Ai « Capitoli immunità e grazie » dei quali si chiedeva la conferma al feudatario nel 1550, l’Università di Teano faceva seguire gli Usus super dotibus et lucris che presentavano indubbiamente il compendio di consuetudini antichissime inserite per ottenerne il riconoscimento da parte del feudatario. Né le Concessioni precedenti, né gli usi che si riferiscono ai rapporti patrimoniali tra i coniugi, e che formano un capitolo distinto e per sé stante, mi risultano noti per le stampe, sebbene fin dal 1888 il Faraglia nella sua bella trattazione sui Comuni del Mezzogiorno li avesse inclusi in un elenco di statuti inediti, lasciandone sospettare l’importanza « per gli usi longobardi ». Riservandomi di studiare in seguito l’organizzazione dei longobardi, autonoma e fiorente, mi limito qui ad esaminare fugacemente le interessanti consuetudini in tema di lucri di sopravvivenza, pubblicando questo solo capitolo degli Statuti di Teano, che  -come dicevo-  fa seguito al complesso delle disposizioni statutarie e sembra da esse indipendente e forse tradotto in iscritto in epoca anche più remota[1].

I lucri di sopravvivenza, in diversa forma sanciti in molte legislazioni statutarie, si riannodano all’antico sistema di assegni che il marito soleva fare alla moglie, e che non vennero a mancare allorché si diffuse il regime dotale. Concorreva a tenerli in vita sia le consuetudini germaniche (quarta) sia le romane (donatio propter nuptias) e presero nome diverso: antefato, incontro, terziaria o quarta, basatura etc. Circa la loro origine, mentre si sostiene da alcuni che essi derivino dal diritto longobardo, come attesterebbe il nome di quarta loro rimasto in molti statuti, si prospetta da altri tutto un complesso di considerazioni che tenderebbero a dimostrare nel loro sostrato una influenza più franca che longobarda.

In Teano, morto il marito senza lasciar figli, alla moglie spettava in proprietà sui beni del defunto un lucro corrispondente alla dote pagata, se questa consisteva in pecunia; se invece consisteva in beni stabili, la vedova conseguiva un lucro corrispondente alla terza o quarta parte di essa, secondo i beni eran liberi o pur no; il lucro si intendeva due parti a titolo di dotaria et loco quartae, una parte a titolo di basatura (pro honore primi osculi). Essendovi figli superstiti, la moglie conseguiva, nelle stesse proporzioni, il semplice usufrutto del lucro. In Cerreto invece il dotario o antefato era commisurato al terzo degli apporti donneschi (dos); e poiché la dote era costituita per una terza parte bona corredalia e per le altre due parti in pecunia numerata, il dotario era in realtà la metà dell’apporto complessivo; inoltre la basatura era commisurata al quarto di ciò che la donna avrebbe avuto dopo la traditio per contradote.

Lucrava ancora in Teano la vedova i doni dello sposo e quelli dei parenti e amici (exenia)[2] purché risultassero da solenne atto scritto: condizione essenziale questa, e avvalorata nella traduzione scritta dell’uso con l’esempio di quella signora, figlia del not. De Pacillo, che aveva avuto dal marito il dono di una correggia e quantunque risultasse per testi che il notaio non l’avesse scritta per semplice dimenticanza, tuttavia non la lucrò. È noto che molti altri statuti consideravano i doni nuziali come prestati, e negavano alla moglie il diritto di proprietà su di essi. Gli statuti di Cerreto distinguevano dai iocalia (doni del marito) gli exenia (doni di amici e parenti), e stabilivano che quelli dovessero intendersi più come un compenso che come un donativo, se la sposa portava in casa del marito interulam (corpetto, giustacuore) e se recava con sé i doni di amici e parenti. Era inoltre fissato un limite per questi donativi (se in pecunia numerata, non oltre il mezzo scudo d’oro) ed era altresì proibito alla sposa di donare più di una interula e di trattenere le amiche al banchetto nuziale[3].

Diversamente che a Cerreto, non v’è cenno nelle consuetudini teanesi del diritto alle vesti nuziali.

In materia di lucri in favore del marito le consuetudini di Teano non stabiliscono, come quelle di Cerreto, Capua, Caiazzo, un limite di tre anni di matrimonio per l’acquisto dell’intera dote, liberis susceptis vel non susceptis. Condizione essenziale era invece la susceptio liberorum,come in Altamura; e, come in Altamura, bastava che il figlio emettesse la voce: statim quod filius emitti vocem[4]. Mancando figli invece, il marito non lucrava che il letto e i lini annessi (lettum cum eius apparamento) o il loro valore, nonché  -singolare usanza-  pecium unum meliorem de ere. Simile consuetudine vigeva in Sicilia, e pare di origine franca.

Delle notevoli disposizioni statutarie che fissavano il principio che la dote, dopo la morte della moglie, dovesse essere acquistata dal marito e non dagli eredi della moglie stessa, ho già fatto cenno a proposito degli statuti di Cerreto, ricordando come esse erano state rilevate dal Volpicella. Qui mi limiterò a ripetere che fanno menzione di tale lucro gli statuti di Benevento, Aquila, Caiazzo, Aversa, Capua, Cerreto, aggiungendo che mentre le consuetudini di Capua avevano pieno vigore in Caserta, Maddaloni, Calvi e Mondragone, quelle di Cerreto, oltre che nei casali di S. Lorenzello e Civitella, avevano vigore in Guardia[5], in Telese[6], e forse in tutto il contado[7]; e disposizioni quasi simili si riscontrano nella Lombardia e in qualche statuto della media Italia (Perugia). Soggiungerò ancora che i dottori misero a carico del marito l’obbligo della prova (celebrazione del matrimonio traduzione in casa della sposa, coabitazione per un triennio); il che risponde ai principii del diritto comune; distinsero in oltre quando il marito potesse rinunziare al lucro della dote e quando no, ed esclusero che lucro potesse esserci nella ipotesi di impotentia coeundi, anche se la moglie fosse stata tradotta, determinando altresì i casi di perdita del lucro medesimo. Si esclse dal pari che in caso di premorienza potesse aver valore la presunzione della morte anteriore della moglie.

Anche all’origine di siffatte consuetudini accennò il Volpicella, attribuendole al bisogno spontaneo, sorto in molti luoghi, di mitigare la larghezza delle antiche leggi e a graduale trasformazione dal dotario dei Franchi e della quarta dei Longobardi.

Discorrendo degli Statuti di Cerreto, pur non negandosi l’influenza longobarda che, se non altro, si rileverebbe su conservati detriti del mundio, si è osservato che lo sfondo dei rapporti patrimoniali tra coniugi è più franco che longobardo[8]; e tracce di diritto franco non è difficile per verità riscontrare negli statuti di Cerreto e, in misura forse maggiore, in quelli di Teano. « L’argomento principale, scrive il pr. Besta, per ritenere d’origine prettamente longobarda la basatura si suol trarre dal fatto che la donatio ob osculum o basatura è detta quarta, pur essendo tutt’altra proporzione con l’asse maritale: la misura fittizia dovette essere un tempo reale, e può dunque parere ovvio un avvicinamento al morgengab nel suo aspetto postliutprandeo. Ma vi sono d’altro canto tra i due istituti differenze tali che parrebbero opporre insormontabili ostacoli alla loro identificazione ».

E non può negarsi che differenze vi siano; dirò anzi che l’affermazione di un’origine longobarda dei rapporti patrimoniali tra coniugi in Cerreto o in Teano può sembrare arrischiata se non viene intesa nel senso di una prevalenza del diritto longobardo nella evoluzione di quei rapporti. Ma non di sostenere una identificazione qui si tratta, e forse neppure un ravvicinamento vero e proprio di due istituti, sebbene di rilevare appunto tracce maggiori o minori delle antiche costumanze in queste più recenti, frutto di graduali trasformazioni, sotto l’influenza di molteplici cause. Niun dubbio che il morgengab non è la basatura: quello, si dice, era dovuto alia die nuptiarum e costituiva un pretium virginitatis, questa era corrisposta indipendentemente dalla effettiva traditio e dalla coscensio lettus, per il solo scambio del bacio al momento degli sponsali; ed io soggiungo che le consuetudini di Teano sono esplicite in proposito: lucrum basature lucratur uxor statim quod est basata. Ma può veramente dirsi che il morgengab sia stato corrisposto sempre e unicamente, un pretium virginitatis, quando lo vediamo corrisposto a qualche vedova? D’altra parte non è solo il nome di quarta generalmente dato alla contradote che fa pensare al morgengab: in qualche carta l’assegno muliebre è detto addirittura morgengab, e non ci sono neppure validi argomenti per escludere che si trattasse proprio del morgengab nel suo assetto postliutprandeo. Niun dubbio intanto che in Amalfi  -che pure fu immune di dominio longobardo-  la quarta rappresentava una proporzione effettiva con l’asse maritale e spettava alla donna solo se inviolata ducta fuerit a viro suo. In Cerreto l’assegno rappresentava altra proporzione, ma non può non colpire che esso in un documento del 1384 fosse chiamato non quarta, ma addirittura morgengab[9] . Come non può non colpire il divieto negli statuti di Teano di far lucrare la basatura alla donna vedova. Questo requisito di verginità, richiesto in Amalfi per la quarta, in Teano per la basatura, in Cerreto per un assegno che è detto basatura, quarta e anche mongengab, fa pensare al primitivo morgengab dei longobardi, quantunque non può disconoscersi che in Cerreto, come in Amalfi e in Teano, non occorrendo ricorresse anche la consumazione del matrimonio, è possibile la identificazione dei due istituti.

E allora?

Gli è che, a parer mio, non difficile riesce trovare nelle legislazioni statutarie tracce di questo o quel diritto, come ricordi di costumanze remote o influenze d’ordine vario e sovente complesso.

Può ben ripetersi ciò che fu scritto a proposito dell’origine del feudalismo e dei Comuni: « Con poche idee il mondo tira innanzi e le nuove son poche assai; e per iscoprirne i germi fa mestieri più di tutto d’esser corazzati contro le apparenti dissomiglianze… Se conoscessimo la genealogia delle istituzioni, vedremmo come tutte risalgono a un’antichità remotissima. Germi impercettibili e frammenti di idee danno origine talvolta alle più splendide creazioni, ma col tempo e passando attraverso stadi nei quali, come nelle metamorfosi degli insetti, nulla v’è della forma primitiva e nulla si mostra di quella di poi…[10]».

Dopo il mille le antiche consuetudini germaniche si alterarono, qualcuna perdendo il carattere originario, qualche altra amalgamandosi con usanze diverse e d’ordine più recente. Frutto di queste alterazioni, di queste graduali trasformazioni di vecchi usi, sono le disposizioni che regolano i lucri di sopravvivenza in Teano e quelle più organiche che in Cerreto disciplinano i rapporti patrimoniali tra i coniugi.

 

 

 

Usus civitatis Theani super dotibus et lucris

 

Mortuo viro sine liberis lucratur uxor super bonis viri quo ad usu fruttum et proprietatem dotis solute si impecunia soluta est videlicet pro iure dotarii: et loco quarte: duas partes lucri et pro honore primi osculi tertiam partem ipsius lucri: lucrum basature lucratur uxor statim quod est basata: lucrum dotarij et quarte non lucratur si filij superstites sunt ex matrimonio uxor lucratur dictum lucrum et basaturam quo ad usu fruttum tantum.

 

Si dos est constituta : in bonis stabilibus fruttus lucratur tam pro lucro dotario quarte quam basature tertiam partem dotis si vero in bonis servis et condittionatis lucratur quartam partem et dittum lucrum similiter dividatur pro duabus partibus pro dotario et loco quarte et pro ptertia parte pro honore primi osculi ut puta si tres uncie lucrate sunt due intelligantur pro lucro quarte una vero pro honore primi osculi.

 

Mobilia dotalia restituentur pro ut invenientur si communi usu consumpta non sunt.

 

Lucratur etiam uxor donationes fattas tam per virum quam per consanguineos si bona donata annotata et scritta sunt per notarium aliter non et ita fuit pratticatum in casu filie quoque notarii de pacillo et quod in cetera que sibi donavit eius viri donavit quandam corriggiam et licet costabat per testes quia notarius oblivione no scrisserat: ideo eam non habuit.

 

Si terram dedit francam: uxor pro untiis novem, lucratur tres duas pro quarta unam pro osculo.

Si servam dedit terram pro untiis lucratur duas: videlicet pro quarta ducatos otto et pro osculo ducatos quatuor.

 

Femina vidua non lucratur basaturam ex secundo matrimonio nisi tantum dotarium et quartam.

Si ex pacto estitit coniuges quod super vivens lucretur decem intelligitur lucrasse pro rata: tantum consignatarum in quibus mobilia numerantur.

 

Si mulier moritur nunquam liberis procreatis superstite marito lucratur tantum lettum cum eius apparamento et pecium unum meliorem de ere et si casu lettum cum eius apparato non fuerit datum quod lucretur valorem et pretium letti predicti iusta qualitem ipsorum.

 

Si mulier moritur procreato filio statim quod filius emittit vocem licet si postea moriatur lucratur vir dotes si vir ipse super vivit.

 

Placet servari suprascriptas consuetudines.

 

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[1] Mi servo degli originali statuti in pergamena esibiti dall’Università di Teano alla Comm. Feud. Archivio di Stato di Napoli, Com. Feud. vol. 87, proc. 572, pag. 13.

[2] Xenium, parola di origine greca, denotava in origine il regalo che si faceva all’ospite (latia dei latini): stette poi a indicare anche i donativi fatti alla sposa da parenti e amici.

[3] Continuazione di antichi usi locali erano senza dubbio le festività che solevano accompagnare le nozze con uno scambio vivo di ensenia fra la sposa e gli amici e con un lauto banchetto. Esse si ricostruiscono appunto a traverso i divieti degli statuti più recenti, i quali miravano evidentemente a togliere i disordini derivanti dalle prepotenze dei donanti e dalle licenziosità suggerite dalle copiose libazioni (Besta).

[4] In Altamura si era formato l’adagio « Rète schiamanno, dote guadagnanno ».

[5] Gizzi, Osservazioni alla decis. 41 del Capecelatro.

[6] Lo scrive il Pacelli in un suo ms. Memorie di Telese, mentre negli statuti di quella città, testé editi dall’Archivio Storico del Sannio Alifano nella trascrizione fattane da notar Antonello de Cerreto nel 1426, non si trova traccia né di questa né di altre disposizioni di diritto privato.

[7] Cerreto - Guardia - S. Lorenzo - Limata - Pontelandolfo - Pietraroja - Casalduni etc. Pare che la vicina Cusano avesse consuetudini sue proprie delle quali ignoro il tenore.

[8] Besta. Gli Statuti di Cerreto di Vincenzo Mazzacane, recensione in Circolo Giuridico anno 33, vol. 38 pag. 51.

[9] Il 15 agosto 1384: Lorenzo de Adelmedo di Cerreto vende a… una chiusa… con la presenza e il consenso di Margherita sua moglie, la quale rinunzia ad ogni ragione che per il suo morgengab, le possa competere sulla detta chiusa. Arch. Stab. Napoli, Pergamene delle Clarisse di Cerreto, pervenute dalla Cassa Ecclesiastica.

[10] Hallan, L’Europa nel M. E.